«Nell'autoritratto di Monaco tutta l'attenzione si concentra sulla frontalità dello sguardo e del volto, che si impone su uno sfondo nero e astratto. Dürer modula questa frontalità su uno schema prospettico ideale, talmente preciso da tenere conto anche delle proporzioni del volto. All'epoca, nella cerchia umanistica, era piuttosto comune paragonare l'artista a un secondo Creatore o a un novello Apelle, ma il particolare sguardo di Dürer richiede una spiegazione più approfondita.
Cusano aveva già accennato, in riferimento all'icona di Cristo, all'idea di un visus abstractus; definizione che si addice anche a questo ritratto. Riflettere sulla rappresentabilità di Dio e sull'autenticità dell'icona diventa a questo punto inevitabile. Il postulato teologico secondo cui l'uomo fu creato "a immagine di Dio" (ad imaginem Dei; Gen, 1, 27) ci dà una prima risposta. Lo stesso postulato viene ripreso in un secondo passaggio del libro della Genesi, dove si dichiara che l'uomo si è avvicinato a Dio per "somiglianza" (similitudinem; Gen, 5, 1). Per Dürer queste interpretazioni erano più che sufficienti a convalidare la somiglianza tra il proprio ritratto e il "vero volto". Questo dipinto è un autoritratto dell'artista e, nello stesso tempo, il ritratto del suo Creatore. Quando il volto è rappresentato come icona si ha l'effetto di una doppia esposizione: lo sguardo richiama un archetipo, che ne comprova teologicamente la somiglianza.»
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Hans Belting, Facce: Una storia del volto.
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Albrecht Dürer, Autoritratto, 1500, olio su tela, 67x49 cm, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek.